Russi in Italia

Simon Fiks


Professione: pittore

Giunge in Italia da Mosca probabilmente tra il 1924 e il 1925. Si stabilisce a Roma per proseguire i suoi studi. Qui conosce Grigorij Šiltjan che lo inizia alla "vita popolare" della capitale. Racconta Šiltjan:

Un giorno si presentò da me un pittore russo, arrivato da poco da Mosca, con un viso alla Dante Alighieri. Si chiamava Fix, ed era venuto a Roma per perfezionarsi negli studi. Divenimmo amici, perché anche lui  amava la vita popolare come me, e così facemmo insieme il giro delle trattorie per eseguire schizzi dal vero (Sciltian 1963, p. 293).

Fiks trascorre l'estate (del 1924 o del 1925) sul lago di Nemi nella piccola cittadina di Genzano. Qui trova ospitalità presso un'osteria, dove gli viene messo a disposizione uno studio, in cambio di alcune tele di paesaggi lacustri. È nella cornice del paesaggio laziale che si consuma un dramma terribile della biografia dell'artista, incriminato ingiustamente di aver torturato e ucciso una bambina. In seguito viene scagionato dalle pesanti accuse e fortunatamente rilasciato dopo la scoperta del vero colpevole, un prete d'origine inglese. Riesce presto a riabilitare la sua immagine agli occhi dei concittadini che lo festeggiano in occasione del carnevale: il carro da lui progettato – che rappresenta una nave dell'epoca di Caligola – "vince il premio in palio di tutti i Castelli Romani. Fu incoronato come un imperatore e portato in giro per tutti i vari paesini dei Castelli Romani in trionfo" (Sciltian 1963, p. 294).

A partire dal 30 gennaio 1926 e per tutto il mese di febbraio, la Casa d'arte Bragaglia in Roma (Via degli Avignonesi, 8) ospita la prima mostra personale del pittore nella capitale. Nelle stesse "bragagliesche terme di via Avignonesi" ha luogo la seconda esposizione delle opere di Fiks, una quarantina tra tele e disegni, tra cui Osteria "quadro densissimo, poetico e nostalgico", Lavandaio cinese e le "saporite e sapienti scene di circo equestre" (ibid.). Le sue tele catturano soggetti della quotidianità popolare nella cui rappresentazione "egli dimostra una vena stilistica innata, spiritosa e chiara" ma anche un chiaro sforzo di non fossilizzarsi: "e l'artista, pensosamente autocritico, tenta di sventare l'agguato nella pittura" (ibid.). Nei lavori del pittore ancora poco conosciuto in Italia Pavolini scorge "i segni d'un interior travaglio espressivo" (ibid.), che lasciano presagire la ricerca fruttuosa di una forma e di una maniera originali.

Tale segno di crescita è evidenziato da A. Spaini nella recensione apparsa su «La Fiera letteraria» nel giugno dello stesso anno, dove oltre a lodare la mano dei disegni di Fiks – emersa già nelle opere esposte nel 1926 – esalta il tripudio cromatico delle tele, la generosità delle tinte accese, il dinamismo dei soggetti reso grazie a "colori pieni, densi e carnosi", eco di Cézanne e degli impressionisti:

Da Bragaglia Simon Fix espone una ventina di tele e altrettanti disegni; è la sua seconda esposizione a Roma e proprio per chi conosceva la prima – ma anche per chi arriva impreparato nelle tenebrose sale – è una bella sorpresa. Un anno fa Fix aveva l'aria di prendere le linee dalla natura ed i colori dal tubetto, e di depositarli sul quadro mettendoci di suo il meno possibile; con una onestà, quasi esagerata, con un'esattezza quasi noiosa. C'erano, è vero, anche un anno fa i suoi disegni, dove la realtà era riassunta in una vivacissima e insistente impressione, la quale faceva solamente rammaricare: perché Fix non dipinge come disegna, e soprattutto perché non dipinge quello che disegna? E quest'anno, oltre a disegnare, ha dipinto: due marinai vestiti di bianco seduti in un'osteria color verde, accanto alle loro amiche rosso e blù i due giallognoli cinesi in mezzo a un mare di biancheria messa ad asciugare, sotto un paralume verdissimo; un uomo grigio che beve in una grigia cantina accanto a una donna che sulla grigia sottana porta, per Dio! una sottana rossa; oppure un cerchio di lottatori nudi che sfilano sulla giallissima sabbia del circo; oppure un cavallo e che s'impenna, tutto d'argento, ed esce come una strombettata dal tenebroso arco d'una galleria. Colori, colori, colori. Ma colori gonfi della ciccia di tutte queste donne, dei muscoli di questi omoni, del corpo imbizzito del cavallo; colori pieni, densi, carnosi; i colori degli impressionisti i colori di Cézanne, sotto cui la carne inturgidisce e scoppia di luce in una luce che fa brillare tutto il quadro. Un po' di bozzettismo, anche, che non guasta; come per uno stilista non guasta se scrive un romanzo interessante. Anche qui i disegni di Fix ci possono insegnare qualche cosa; egli ha l'intenzione di farci un racconto; ma lo vuole fare pittoricamente. C'è una maniera pittorica di raccontare la forza fisica d'un carrettiere, di descrivere l'atmosfera canagliesca d'un'osteria da marinai, la miseria d'una scena di sobborgo. C'è un quadro abbastanza grande di Fix, una povera venditrice ambulante, con un misero bambino accanto, un albero stecchito, dietro, una catapecchia rossa e simmetrica nello sfondo. Alla prima occhiata fa rabbia quant'è letterario; alla seconda si dimentica la storia di quella povera donna e si sente una pena sconsolata per quelle cose, quelle cose, di quei lividi, abbandonati colori. Forse anche il "soggetto" finiva col divenire un argomento interessante di conversazione, come lo era una volta quando gli uomini erano artisti e gli artisti erano uomini. A proposito di Fix, questa conversazione è senza dubbio di attualità; e quello che potrebbe essere un suo difetto, è in realtà una qualità assai bella (Spaini, 1927, p. 4).

Il soggiorno italiano di Fiks si caratterizza anche per un viaggio del 1927 in Sicilia, terra che lo affascina e lo colpisce profondamente, lasciando una viva traccia nella produzione grafica e pittorica successiva, oltre a valergli presto l'epiteto di pittore "meridionalissimo", "il più meridionale", "e più meridionali di lui ci sono gli africani" (De Libero 1928, p. 3). Frutto del peregrinare nelle calde terre del Sud sono una serie di lavori che riscaldano nuovamente le sale sotterranee della Casa d'Arte Bragaglia e l'inverno della capitale. Nella presentazione alla mostra si legge:

La Casa d'Arte Bragaglia presenta la terza esposizione di Simon Fix. Simon Fix ha già dimostrato un temperamento meridionalissimo e lo va confermando, possiamo dire, con lo scendere sempre più al Sud, esprimendosi sempre più calorosamente. È arrivato in Sicilia ora. Della Sicilia è più entusiasta che dell'Italia. Anima romantica, Simon Fix vede poeticamente ed esalta a lirismo non privo d'un certo esotico d'interpretazione, lui russo, i soggetti italiani e siciliani. La tecnica post-impressionista gli serve come la prosodia, tutta fatta di licenze dei cantastorie popolari. È la ingenuità della tecnica che ci ispira simpatia per questo poeta pittore. I suoi soggetti, scelti con cuore semplice, trovano nella sua pittura un linguaggio d'espressione sincero ed ingenuo. La tecnica e l'ispirazione diventano tutt'una cosa in grazia alla istintività di questi mezzi d'esprimersi senza preoccupazione. Niente cerebralismo e culturalismo, dunque: e niente infantilismo e balbuzie da primitivista. Le sue intenzioni son ben altre per fortuna (cit. in Mostra Fix da Bragaglia, 1928, p. 3).

Il suo meridionalismo diventa sinonimo di paesaggi siciliani, di scorci e di volti, del prorompere della natura dell'isola, di impressioni di vita quotidiana. L'Etna "diventa un cono cilestrino come il Fusijama, e da gibbosità di bruni, di seppie, di neri, emerge verso un cielo non dimentico dei lievi grigi parigini, ma tuttavia striato di rosee nuvolette" (A. L. 1928, p. 4); i cactus e la vegetazione quasi tropicale a sfondo delle tele; i carri siciliani che "hanno risvegliato in lui festosità di colori, come si scorge nel blu marinaresco e nel carminio del carrettiere e cavallo siciliano" (A. L. 1928, p. 4). E se De Libero nella sua recensione si augura che Fiks "si decida a prendersi il suo bravo certificato di figliolo siciliano" (1928, p. 3), allo stato attuale degli studi non si hanno altre notizie sulla presenza in Italia del pittore. Per quanto riguarda la sua persona, curioso e affascinante è il ritratto che tratteggia Šiltjan nella sua autobiografia:

Il suo aspetto, il suo profilo che tanto ricordava quello di Dante Alighieri, il suo abituale abbigliamento che consisteva in una giubba nera alla russa, facevano di lui una figura assai strana, un tipo anarchico e nichilista, uscito da qualche salotto letterario (Sciltian 1963, p. 294).

Nota
Nelle fonti italiane s'incontra Simon Fix.

Bibliografia
L. De Libero, Scoperta da Bragaglia: Simon Fix pittore, «L'Interplanetario», n. 1, Roma, 1 febbraio 1928, p. 3.
Esposizioni, «La Fiamma», Torino, 15 gennaio 1928.
La 131 Mostra da Bragaglia, «L'impero», Roma, 30 gennaio 1926.
La 131 Mostra da Bragaglia, «Il Tevere», Roma, 1 febbraio 1926, p. 3.
La 141 Mostra da Bragaglia, «Il Tevere», Roma, 11 maggio 1927, p. 3.
C. Pavolini, Mostre romane, «Il Tevere», Roma, 24 maggio 1927, p. 3.
A. Spaini, Simon Fix, «La Fiera Letteraria», Milano, 5 giugno 1927, p. 4.
V. Golzio, Cronaca delle esposizioni, «Roma», a. IV, n. 10, Roma, ottobre 1927.
La 146 Mostra alla Casa d'Arte Bragaglia, «La Tribuna», Roma, 12 gennaio 1928.
Mostra Fix da Bragaglia, «Il Tevere», Roma, 17 gennaio 1928.
V. Golzio, Cronaca delle esposizioni, «Roma», a. V, n. 2, Roma, febbraio 1928.
A. L., Simon Fix da Bragaglia, «La Fiera Letteraria», Milano, 26 febbraio 1928, p. 4.
V. Orazi, Simon Fix da Bragaglia, «L'impero», Roma, 4 marzo 1928, p. 3
G. Sciltian, Mia avventura, Milano, Rizzoli, 1963.
M. Verdone, F. Pagnotta, M. Bidetti, La Casa d'Arte Bragaglia 1918-1930, Roma 1992.

Patrizia Deotto, Laura Piccolo


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