Russi in Italia

Chiesa russa di Firenze

Michail Talalay

Uno dei segni più significativi della presenza russa nel capoluogo toscano è senza dubbio la chiesa ortodossa, che con le sue forme ricercate, esotiche per gli italiani, arricchisce il patrimonio culturale della città, mentre la vita della comunità ortodossa costituisce un elemento importante dell'atmosfera culturale e religiosa di Firenze.
Per la comunità russa è stato determinante l'arrivo del giovane e attivo padre Vladimir Levickij (1840-1923), che convince i rappresentanti della colonia russa e, fatto ancor più importante, l'ambasciata di Roma, della necessità di costruire una chiesa proprio a Firenze. Grazie alla benedizione del Metropolita di San Pietroburgo, Isidor, nonché all'aiuto concreto del Ministero degli affari esteri, che stanzia finanziamenti per la chiesa e prende l'iniziativa sotto la propria protezione, il terreno su cui doveva sorgere l'edificio viene acquistato dall'ambasciata imperiale. Tra i privati i contributi sono elargiti in primo luogo dai Demidov e da una serie di rappresentanti dell'aristocrazia, quali A. A. Zubov, A. Z. Chitrov, P. B. Mansurov. I nobili fiorentini di origine russa, che ormai da tempo vivevano all'estero, avevano tuttavia le loro idee sullo stile della chiesa, sui metodi di costruzione, sugli esecutori dei lavori. E il sacerdote, che aveva intrapreso questa iniziativa, molto impegnativa dal punto di vista economico, si scontra con la loro incomprensione, alterigia e snobismo (nelle sue memorie scrive affranto della "cosiddetta colonia russa" e dei suoi membri).
Negli anni della Prima grande mondiale la comunità presta aiuto alla patria, agevolata dall'intesa tra l'Italia e la Russia, promuove iniziative di beneficenza, raccoglie finanziamenti per l'esercito e i feriti, soccorre i prigionieri di guerra internati in Svizzera e Austria. Contemporaneamente all'aiuto della chiesa a Firenze opera il Comitato russo di beneficenza.
Il 1917 è un anno cruciale per la vita della comunità. Nell'Europa Occidentale si riversano migliaia di profughi e la chiesa si riempie non di ricchi viaggiatori o aristicratici amanti dell'Italia, ma di emigrati che hanno perso tutto. Il loro stato d'animo è descritto con le parole di un'emigrante, E. Evreinova, in uno dei verbali delle assemblee: "A noi, che non abbiamo più la patria, è rimasta solo la chiesa". Per la Firenze russa si tratta di un vero e proprio terremoto: la monarchia, che sembrava un'istituzione incrollabile, si è sgretolata, lo zar e i membri della sua famiglia, le cui icone dei santi patroni si trovavano nell'iconostasi, sono stati fucilati, tutte le somme di denaro, raccolte con fatica e depositate nelle banche russe all'apparenza convenienti, sono state confiscate dallo stato sovietico.
Dopo essersi staccata dalle strutture diplomatiche divenute sovietiche, la parrocchia è giuridicamente fondata nel 1921; i parrocchiani, in tutto 24 persone, temono molto le controversie giudiziarie con l'URSS per la proprietà degli immobili (per la proprietà delle chiese di Roma e di Bari aveva vinto la parte sovietica, che subito dopo aveva venduto i beni ottenuti). Anche sull'immobile fiorentino l'Unione Sovietica avanza le sue pretese nel 1924, ma il tentativo è bloccato a Roma grazie all'aiuto degli avvocati della comunità, i marchesi Orazio e Roberto Pucci, che per salvare la chiesa dalle rivendicazioni bolsceviche usarono un decreto del Governo provvisorio sulla separazione della Chiesa dallo Stato (in un verbale dell'assemblea della parrocchia del 1925 è loro espressa la riconoscenza dei parrocchiani per "la difesa contro la legazione sovietica").
Quando in quegli anni l'Italia è raggiunta dall'ondata degli emigrati, la consistenza numerica della parrocchia cresce e nel 1925 raggiunge la punta massima di 75 persone, ma per gli emigrati è difficile trovare lavoro in Italia e molti lasciano rapidamente Firenze per Parigi, Belgrado e altri grandi centri della diaspora russa (nel 1931, ad esempio, i parrocchiani sono di nuovo la metà, 37 persone). Nel 1922 padre Levickij, che ha compiuto 82 anni, smette di servire come sacerdote e, dopo alcune ricerche, al posto di rettore viene chiamato padre Michail Stel'mašenko.
Nel 1924 giunge da Parigi, per visitare le chiese russe in Italia, il metropolita Evlogij (Georgievskij), fondatore dell'Arcivescovado delle chiese ortodosse russe dell'Europa Occidentale, e pone la diocesi sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli, dato che ormai i legami con la madrepatria sono interrotti. Così monsignor Evlogij si esprime sulla chiesa della comunità russa: "a Firenze abbiamo una chiesa meravigliosa, la più bella di tutte le chiese della mia eparchia [cioè dell'Europa occidentale]. Un edificio a due piani in stile russo, molte icone splendide, la pittura dei migliori artisti...". Nel 1926 in luogo di padre Stel'masenko il metropolita Evlogij designa un nuovo rettore, padre Ioann Leljuchin.
In questi anni, dal 1925 al 1936, la comunità, che viveva di stenti, riceve un inaspettato aiuto dalla casa reale di Grecia, che aveva avuto l'idea di usare uno dei locali della cripta come cappella funebre dei monarchi in esilio. Nel 1925 qui trova posto la tomba del re Costantino, nel 1926 quella della regina Olga, appartenente alla dinastia dei Romanov, e nel 1932 quella della regina Sofia. Quando nel 1934 nell'Italia di Mussolini entra in vigore una legge che riduce gli affitti, la casa reale tenta di diminuire l'entità dei versamenti, ma la comunità riesce a dimostrare che un locale occupato da feretri "non è una camera, ma una tomba". Nel 1936 la situazione politica della monarchia in Grecia si stabilizza e le spoglie dei regnanti sono traslate nella loro cappella funebre vicino ad Atene. Sperando di conservare il sussidio greco, la comunità si rivolge al re Giorgio per un aiuto in quanto "naturale difensore dell'ortodossia dopo lo zar di Russia", ma senza successo.
Sostegno principale della comunità è in questi anni Marija Pavlovna Demidova, principessa di San Donato: mantiene il parroco e il coro della chiesa, a molti passa un sussidio mensile (lo starosta della chiesa, F. Galka, amministratore della principessa, la tiene aggiornata su tutte le difficoltà della vita della parrocchia). Quando nel 1930 Galka si converte al cattolicesimo (i suoi genitori erano cattolici ucraini) è la stessa Demidova a prendere il posto di starosta. Nel 1951 grazie ai finanziamenti della principessa (e della contessa Rodocanacchi) nel giardino della chiesa viene costruita una casetta di tre stanze, che serve da abitazione del parroco. Dopo la morte di Marija Demidova nel 1955, il suo erede Paolo di Jugoslavia, in memoria dell'attività della principessa a favore della chiesa e del prossimo, dona alla comunità una grossa somma. Succede a padre Leljuchin come parroco della comunità padre Ioann Kurakin (Kourakine).
Alla vita della comunità ortodossa sono stati molto vicini due artisti russi, residenti a Firenze: Nikolaj Lochov e Fёdor Sokolov (1900-1956). Entrambi hanno lavorato come copisti agli Uffizi ed eseguito copie di affreschi. Lochov, giunto a Firenze nel 1914, sognava di dedicare la propria esistenza alla creazione in Russia di una galleria di copie di affreschi e quadri del Rinascimento italiano e, quando vendeva i suoi quadri, li duplicava per salvaguardare  la completezza della collezione russa; Sokolov è stato discepolo di Lochov e, oltre alla copie, ha dipinto icone e miniature; al suo pennello si devono alcuni ritratti dei parroci della chiesa russa di Firenze.
Tra il 1920 ed il 1950 il volto culturale della comunità è stato in gran parte determinato dall'attività del direttore del coro, Adrian Charkevič. Insieme ad altri membri della comunità (il conte Ivan Musin-Puškin, il conte M. Murav'ev-Amurskij, la contessa O. Olsuf'eva e altri) Charkevič ha ideato l'associazione "Colonia russa in Toscana", fondata nel 1924, che riuniva gli emigrati russi indipendentemente dalla loro appartenenza confessionale ed organizzava per loro eventi: concerti, incontri letterari, festeggiamenti. I locali per le iniziative della Colonia erano messi a disposizione dal British Institute, dato che i russi di Firenze avevano ormai una lunga tradizione di solidali rapporti con i circoli angloamericani della città: il presidente della colonia, V. Jarcev, era ad esempio cantore nella chiesa americana (era, tra l'altro, anche salmista della chiesa russa). Momento centrale dell'attività della Colonia sono state le serate dedicate alla memoria di Puškin nel centenario della morte del poeta, nel 1937, e in realtà sono state anche le ultime iniziative della comunità. Con l'inizio della guerra, nuove sventure si abbattono sulla piccola schiera di emigrati. La Seconda guerra mondiale spinge molti eminenti membri della parrocchia ad andare in America: lascia l'Italia, ad esempio, lo starosta della comunità, il principe S. Kočubej. Dopo la liberazione di Firenze la vita della comunità si rianima temporaneamente ma solo in apparenza: nelle fila delle truppe alleate ci sono infatti non pochi ortodossi, ma la "Colonia russa in Toscana" e le attività ad essa collegate cessano di esistere. Infine nel 1950 con la morte di padre Kurakin si è conclusa una intera epoca della comunità russa di Firenze.



Indietro
Statistiche