Russi in Italia

Vera Idel’son


Luogo e data di nascita: Riga, 1 dicembre 1893
Luogo e data di morte: Parigi, 25 agosto 1977
Professione: pittrice, scenografa

Lettone d'origine, studia a Pietroburgo e a Baku pittura, scenografia e progettazione di oggetti di arredamento; le sue prime opere sono ispirate ai motivi dell'arte popolare russa. Trasferitasi a Mosca, entra in contatto con l'ambiente più avanzato della ricerca scenografica, frequenta il Kamernyj teatr, conosce Aleksandr Tairov, Vsevolod Mejerchol'd e Aleksandra Ekster nel periodo in cui realizza le prime scenografie d'avanguardia.
Nel 1922 si trasferisce a Berlino, dove risiede fino al 1925, partecipando al fervore creativo che regna nella capitale tedesca. È presente nel marzo 1922 alla Grande mostra di arte futurista (Die Grosse Futurische Kunstausstellung) e in ottobre alla Prima esposizione russa d'arte (Die erste russische Kunstausstellung), organizzata dall'URSS alla Galleria Van Diemen. Qui conosce il drammaturgo futurista Ruggero Vasari, che aveva aperto a Berlino una galleria d'arte e fondato la rivista "Der Futurismus", al quale si lega per alcuni anni. Grazie a Vasari prende parte a numerose iniziative futuriste italiane. Dipinge in questo periodo tele cubofuturiste (ad es. Porto di Danzica), porta avanti contemporaneamente ricerche nel campo dell'arredamento, della ceramica e del ricamo; si avvicina anche a forme di arte astratta in chiave espressionista, come in Compenetrazione dell'io del poeta V.
Nel 1924 è a Capri con Vasari e frequenta il gruppo futurista che ruota intorno a Marinetti; partecipa in qualità di scenografa ad uno spettacolo di teatro sintetico, presentato prima all'Hotel Quisisana, poi nella Sala Marconi di via Acquaviva. Come recita una locandina dell'epoca: "Al Quisisana sabato 30 agosto alle ore 21,30 Grande Serata Futurista con l'intervento dei poeti futuristi Marinetti e Vasari". L'ingresso costa 15 lire; la sala tirata a lucido del Quisisana è stracolma: il pubblico è subito frastornato dalle scanzonate partiture teatrali: Corpo che sale di Umberto Boccioni, Vengono di Tommaso Marinetti, Non c'è un cane di Francesco Cangiullo, Davanti all’infinito di Enrico Settimelli. Il senso paradossale di Non c'è un cane si riflette in una scena vuota dall'inizio alla fine; dopo dieci interminabile minuti Cangiullo si affaccia tra gli schiamazzi del pubblico e con voce angelica domanda: "Che andate trovando? Ve lo avevo annunciato: Non c'è un cane". Dalle pièces teatrali si passa alle "danze plastiche giavanesi"; Marinetti e i futuristi si riconciliano con la sala, il clima si fa più disteso; soprattutto i costumi di Vera Idelson affascinano gli spettatori, che in chiusura di serata sono invitati a ballare le ultime danze alla moda, lo shimmy e il charleston. Nella stampa dell'epoca si ricorda anche la successiva esibizione di Marinetti che ritorna al Quisisana l'anno dopo per un "superbalfuturista", organizzato da Cangiullo con la consulenza di Vasari; tra gli invitati anche gli attori del Teatro degli Indipendenti di Roma, che si scatenano in un delirio di coloratissimi tableaux vivants; la serata si conclude con l'elezione della "Regina del maquillage", l'ironica attrice Lelia Soligo.
Il sodalizio avviato a Capri con i futuristi si prolunga nel tempo: sempre nel 1924 a Vera Idelson viene affidata la realizzazione dei costumi e delle scenografie per L'angoscia delle macchine di Ruggero Vasari per il Dramatischer Theater di Berlino, diretto da Fred Antoine Angermayer. L'artista elabora scene a piani inclinati e costumi ispirati da una spiccata iconologia meccanicista; i suoi bozzetti sono pubblicati in "Der Sturm" ed esposti nella galleria di Herwarth Walden, ma il progetto teatrale non viene realizzato.
In seguito si trasferisce a Parigi e nel 1926 frequenta i corsi tenuti da Aleksandra Ekster all'Académie d'Art Moderne; le tele polimateriche di Vera Idelson si orientano rapidamente verso soluzioni formali astratte. Nello stesso anno partecipa all'International Theatre Exposition di New-York e rielabora una nuova versione delle scene e dei costumi per L'angoscia delle macchine, che viene messa in scena a Parigi al teatro "Art et Action" il 27 aprile 1927. Abolendo ogni connotazione naturalistica della scena, Idelson costruisce profili geometrici astratti e rigidi, cui assegna il ruolo dei protagonisti dell'opera di Vasari. Come scrive "L'impero" del 9 agosto 1927:
Al teatro "Art et Action" è stata rappresentata per la prima volta L'An­goscia delle Macchine, un audace e originale lavoro in tre tempi del poeta futurista Ruggero Vasari. Il dramma vuole rappresentare il conflitto tragico della nostra anima umana colla macchina che cerca di soggiogarla e soffocarla. L'azione si svolge fuori del tempo e della realtà, in un fantastico regno di macchine, governato dai tre despoti Bacal, Singar e Tonchir. Mentre i primi due rappresentano gli uomini che hanno superato sentimentalmente e ses­sualmente l'individuo e che non aspirano che a conquiste maggiori, Ton­chir, il creatore di questo meraviglioso mondo meccanico, all'apogeo della sua potenza, sente tutta l'inutilità del suo sforzo poderoso, sente che la vittoria è un tarlo che rode il cervello. Egli sente allora il con­trasto angoscioso tra la sua anima meccanizzata e l'anima umana. Vive questo contrasto sino allo spasimo, tenta di rientrare nell'umanità, ma questo ritorno è impossibile. [...] Il maestro di scena Van Veen e lo scenar­chitetto Idelson si rivelarono infatti superiori alla loro fama. Van Veen presentò il dramma in una cornice e atmosfera completamente astratte. La voce degli attori era deformata in modo da dare l'impressione che non erano uomini a parlare, ma supermarionette. [...] Recitazione metallica precisa tagliente. Nessuna enfasi, nessuna declamazione, nessun pathos. Anche la mimica marionettizzata fu di grande effetto. Creò le scene e i costumi lo scenarchitetto russo V. Idelson. La scena si presentò come una combinazione di elementi plastici differenti, per dare la massima varietà di luce, e piani bidimensionali dipinti. Colori dominanti: nero e argento. Gli attori erano nascosti dietro costumi rigidi bidimensionali, parte integrante del dinamismo costruttivo dell'insieme, che muovevano solo alcune parti senza riferimento a nessuna delle parti del corpo. [...] Senza alcun dubbio questo allestimento scenico uno dei più interessanti e complessi che siano apparsi in questi ultimi tempi. Il pubblico, nella maggioranza internazionale, che affollava il teatro fino all'inverosimile, applaudì entusiasticamente ogni atto e alla fine chiamò ripetutamente alla ribalta autore ed interpreti. Il successo dello spettacolo fu netto e clamoroso.

L'articolo anonimo è visibilmente ispirato da Vasari stesso, si po­trebbe forse dire che costituisca l'interpretazione "ufficiale" data dall'autore alla sua creazione. In un'altra recensione apparsa in "La Gazzetta" di Messina del 19 agosto 1927 si riportano le sue parole: "Per me è battaglia vinta. Non ho fatto della polemica, nella quale si perdono ancora molti futuristi. Ho fatto dell'arte. Ho fatto del teatro vero e proprio. E tutta questa gente, a meno che non sia in perfetta malafede, dovrà ricono­scerlo. La mia coscienza artistica è perfettamente in ordine". Più dettagliata è in questo resoconto la descrizione dello spettacolo:

Il velario si apre. Ecco il regno freddo e spaventoso della macchina, del mondo meccanizzato, tagliente, preciso, di un freddo disumano, donde è esclusa ogni umanità. Lo scenarchitetto Idelson ha costruito la scena con forme semi-astratte, geometriche concentriche, il cui tono dominante è il grigio-argento... Ecco gli attori che incominciano a parlare. I loro corpi sono chiusi in costumi rigidi di latta, cartone e tela dipinta, che fanno parte del dinamismo costruttivo dell'insieme. Essi parlano con voce deformata. La recitazione è metallica: ogni enfasi, ogni pa­thos, ogni declamazione sono esclusi... [...] Siamo al secondo tempo: il breve soliloquio di Tonchir, il creatore di questo meraviglioso mondo fantastico, che vive fino allo spasimo il con­trasto angoscioso della sua anima meccanizzata eppure umanissima. Il dialogo astrale delle sue anime ci avvolge in un'atmosfera metafisica. Qui Vasari si rivela più poeta che drammaturgo. L'azione è tutta concen­trata nei movimenti ritmici delle tre ombre, le implacabili accusatrici dell'eroe, che infrante le leggi naturali ed umane, voleva assurgere a Dio. E Tonchir, privo della possibilità di potere riconquistare la sua statura umana, cade in preda al Destino. Chiude l'atto una musica-sintesi travolgente delle macchine moltiplicate.

"Attraverso la marionettizzazione astratta dell'evento teatrale – nota Lea Vergine a proposito dello spettacolo –  Idelson conferisce una piena e autonoma vitalità scenica al cinetismo plastico puro. Il suo lavoro resta storicamente tra le più singolari composizioni scenografiche ispirate dal costruttivismo" (Vergine 2003: 198).
Sempre nel 1927 Vera Idelson collabora alla realizzazione delle scenografie di Prampolini per gli spettacoli della Pantomime futuriste, dati al Théâtre des Champs Elysées a Parigi. E la sua ricerca si orienta ora verso l'elaborazione di forme geometriche post-cubiste.
Nel 1930 partecipa alle attività del gruppo "Cercle et Carré", prendendo parte alle loro esposizioni e pubblicando sulla loro rivista lo scritto teorico Problemes du Théâtre moderne, dove sottolinea il carattere meccanico e astratto della marionetta moderna.
Negli anni successivi partecipa annualmente al Salon d'Automne e a diverse mostre europee. Nel 1933 elabora le scene e i costumi per il balletto Pretexte di Lifar', ma il progetto non viene realizzato. Nel 1936 prepara diversi costumi per l'opera 14 juillet di Romain Rolland, messa in scena a Parigi. Regolare anche in seguito è la sua attività di scenografa e costumista, insieme alla sua presenza alle esposizioni pittoriche. Muore a Parigi il 25 agosto 1977.
Gran parte delle sue realizzazioni degli anni Venti è andata perduta; ne rimane traccia nelle riviste: "Der Sturm" (Berlin), "Teatro" (Milano), "Cercle et Carré" (Paris), "Noi" (Roma), "Les Chroniques du jour" (Paris), "Commedia" (Milano), ecc.

Bibliografia
Teatro futurista italiano, «Sipario» n. 260, dicembre 1967.
Mario Verdone, Teatro del  tempo futurista, Roma, Lerici, 1969.
Mario Verdone, Teatro italiano d'avanguardia. Drammi e sintesi futuriste, Roma, Officina, 1970.
Giovanni Lista, Théâtre futuriste italien. Antologie critique, Lausanne, L'Age d'homme, 1976.
Giovanni Lista, "L'Angoisse des Machines" de Ruggero Vasari, in Les voies de la création théâtrale. Mises en scènes années 20 et 30, Paris, Editions de CNRS, 1979.
Lea Vergine, L'altra metà dell'avanguardia 1910-1940, Milano, Mazzotta, 1980.
Ricostruzone futurista dell'universo
- Torino, Mole Antonelliana, giugno-ottobre 1980 - a cura di Enrico Crispolti. p. 660.
Franca Angelini, Teatro e spettacolo nel primo Novecento, Bari, Laterza, 1988.
Fernando Maramai, Gli scenografi futuristi di Ruggero Vasari, «Il lettore di provincia» 2000, n. 108-109, pp. 111-133.
Lea Vergine (a cura di), Capri 1905-1940. Ricerche e testi di E. Fermani, S. Lambiase, Milano, Skira editore, 2003, pp. 195-198.
Pier Paolo Pancotto, Artiste a Roma nella prima metà del ‘900, Roma, Palombi editore, 2006.

Link interessanti
http://www.erudit.org/revue/cine/2002/v12/n3/000734ar.html
www.mclink.it/n/dwpress/dww98/rub2.htm

Immagine
Affiche per L'angoscia delle macchine, 1927

Antonella d'Amelia
Scheda aggiornata il 29 novembre 2018



2 schizzi per L'angoscia delle macchine, matita su carta (3.6 x 4.7 e 9.2 x 12 cm)
http://www.artnet.com/artists/vera-idelson/ensemble-de-deux-esquisses-pour-la-scene...



Disegno per un costume. Gouache su carta (20 x 27 cm.), 1937



Paolo Tonini, Copertina per la pièce L'angoscia delle macchine di Ruggero Vasari.



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